caccia grossa

23 Marzo 2011 0 Di Rosanna Prezioso

Seduti attorno al tavolo dove d’abitudine il nonno lavora l’oro (e per questo motivo e il rispetto che ho per il lavoro del nonno mi pare già un sacrilegio) io e papà siamo impegnati in una operazione insolita. Appoggiato sopra un foglio di spessa carta gialla da macellaio c’è un largo pentolone con un avanzo di brodo grigiastro dal quale sporge una viscida palla altrettanto grigia. La mamma è di là che continua a ripetere che non vuole vedere, che le dà fastidio. La cosa viscida è un porcospino catturato da papà che lo ha voluto a tutti i costi cucinare sostenendo che ha una carne buonissima! Il nostro compito, adesso, è liberarlo dagli aculei che fanno poca resistenza uscendo dalla carne intenerita dalla bollitura.

Non sono nuova a queste sfide a cui papà mi sottopone. Sempre qui, a casa del nonno, l’anno scorso mi ha fatto mangiare il formaggio con i vermi sostenendo che anche i vermi erano fatti di formaggio. Ho obiettato che però si muovevano e dovevo rincorrerli sul piatto con un pezzo di pane. Lui ha detto che se avessi osservato un qualsiasi pezzo di formaggio al microscopio vi avrei scoperto dentro cose che si muovevano. Chissà, forse si confondeva con lo yogurt. Mi sono fermata solo quando dal pezzo di cacio è uscito un grosso insetto marrone che si è messo a correre velocissimo in cerca di una via di scampo. Ma papà è stato più veloce, lo ha bloccato con la sua crosta di pane e se lo è messo in bocca. Penso lo abbia fatto più per risparmiarsi un rifiuto da parte mia (quello che è troppo è troppo!) che non per gola.

La spinatura del riccio è una faccenda piuttosto lunga e inizia a darmi il voltastomaco. Papà non si dà per vinto anche se intuisco che qualche problemino ce lo deve avere pure lui ma, conoscendo il suo orgoglio di macho, non lo ammetterebbe mai. Tuttavia insiste con la mamma perchè, una volta pulito e tagliato a bocconcini, lei gli cucini l’animale “alla cacciatora” con aromi e vino. A titolo di incoraggiamento, o forse per distrarci e per distrarsi, continua a raccontare di quando andava a caccia nella foresta umbra.

«Stavamo fuori anche tre giorni e tre notti dormendo nella selva avvolti nelle coperte che ci eravamo portati dietro. Di giorno facevamo chilometri in mezzo a rovi che ci strappavano i pantaloni, rami spezzati e piante velenose di ogni tipo. La foresta era così fitta sopra le nostre teste che a malapena vedevamo il cielo. Quando avvertivano l’odore di una preda i cani iniziavano a latrare come impazziti. Era pericoloso trattenerli. Certi cani che con un morso avrebbero potuto portarti via un braccio intero. Ancora più feroci diventavano quando sentivano l’odore del sangue. Per tenerli buoni e evitare che si mangiassero la selvaggina gli lanciavamo una o due volpi che avevamo ammazzato apposta. Si scagliavano su quelle carcasse ringhiando e azzuffandosi e tempo pochi minuti delle volpi non restava più nulla. Facevano fuori tutto, quelle bestiacce, anche la coda!».

(Dai racconti inediti “Viaggi e assaggi” di Rosanna Prezioso)