cane e gatto

23 Febbraio 2011 3 Di Rosanna Prezioso

Malesia. Seduti intorno al tavolo di una trattoria di medio livello, aspettiamo che ci servano il primo. Arriva una grande zuppiera che viene posata al centro del tavolo sopra un disco girevole come usa da queste parti in modo che ciascuno, a turno, si serva da sé. Ma nessuno lo fa. Il contenuto è scoraggiante: blocchi di gelatina dall’odore a dir poco nauseabondo. Aspettiamo pazienti il secondo ed ecco che veniamo accontentati. Questa volta il cibo è già diviso nei piatti e si tratta di bracioline arrostite dall’aria molto invitante. Sono saporite e al tempo stesso delicate. Peccato che, considerate le dimensioni e il sapore, non può che trattarsi di costine di cagnolino. Ma preferiamo non approfondire e, considerato l’appetito (sono le dieci e mezzo di sera) le facciamo fuori tutte. In silenzio.

Anche il piatto che segue è di carne, ma questa volta si tratta di “bocconcini”, sempre arrostiti, che però contengono una vertebrina. Buoni anche questi, hanno sapore e consistenza simili alla carne di anguilla, ma meno grassi. C’è chi dice “pollo”, ma solo per esorcizzare il fatto, molto chiaro, che si tratta di serpente.

In seguito, ripensandoci, ho concluso che mai e poi mai avrei mangiato “specialità” simili se me le avessero proposte in Italia, tanto è vero che non riesco ancora a mangiare il coniglio perché bloccata da un luogo comune sentito ripetere da bambina, e cioè che sovente viene spacciato per coniglio quello che in realtà è gatto. Una volta ne parlai con il capo dell’impresa che mi stava ristrutturando casa, originario di Brescia, città dove il gatto a tavola pare sia molto apprezzato. Lui rispose senza battere ciglio: «Vuole scherzare? Il gatto è molto, ma moooolto più buono del coniglio! Una prelibatezza. A non mangiarlo non sa cosa si perde!». Con un brivido pensai alla mia Pelote, un batuffolo di morbidezza color latte macchiato dal languido sguardo color turchese.

Di sicuro c’è che quando si viaggia scatta una sorta di istinto di conservazione per cui si è meglio disposti a prendere per buono quello che mangiano gli indigeni. Il concetto è: se non fa male a loro perché dovrebbe farne a me? So di persone che avrebbero difficoltà ad accettare un piatto di spaghetti scotti, ma che in Africa si sono rimpinzate con gusto di spiedini di mango e larve e di cavallette fritte giustificandosi con un «avevano lo stesso sapore degli scampi».

Per quanto mi riguarda, la cosa più buona cho ho mangiato in Australia sono stati gli spiedini di canguro cotti dagli aborigeni su un braciere improvvisato in un’aiuola pubblica. A Sidney. Anche se ho preferito non confrontarli con le formiche verdi, offerte come leccornia e cibo sano dagli indigeni del parco naturale di Kakadu perché ricche di vitamina C. E sempre a Kakadu mi sono astenuta dall’assaggiare le uova di tartaruga cotte “alla sarda”, vale a dire in una buca scavata nel terreno e poi riempita con foglie e brace. Lisce, rotonde, candide e soggette ad ammaccarsi, mi ricordavano troppo le palline da ping pong, ma c’è chi non si è voluto privare dello sfizio giustificandosi: “Un’occasione simile quando mai si ripresenterà?”.

Spero mai!, ho pregato tra me e me.

(Dai racconti Inediti “Viaggi e assaggi” di Rosanna Prezioso)