innamorarsi di dublino
Non è indispensabile avere letto “The Dubliners” di James Joyce per innamorarsi di Dublino. Semmai è una consolazione per chi non è mai riuscito ad andare oltre le cento pagine dell’“Ulisse” del celebre scrittore irlandese che più di tutti ha amato l’Italia, scoprire che i racconti del James giovane, “The Dubliners”, appunto, oltre a fornire una guida straordinaria e meticolosa di Dublino sono accessibili a tutti né più né meno di come lo sono le “Cento Novelle” di Pirandello.
Come tutte le capitali con una storia alle spalle Dublino assembla diversi quartieri. Il Centro, il Trinity College (piccola città nella città), i quartieri alti del sud e quelli più popolari del nord, il lungofiume e la periferia che confina con la campagna, le zone commerciali e quelle residenziali, la nuova City con i suoi rutilanti edifici in vetro-acciaio che occupano gli spazi lasciati liberi dai vecchi docks sulle due opposte rive del fiume Liffey.
Le città, così come le persone non hanno solo un odore ma anche un colore. Quello di Dublino, secondo la descrizione che ne fa Joyce, è il brown, un marrone scuro vagamente rossiccio dovuto probabilmente all’abbondanza di mastodontici edifici in mattoni a vista scuriti dal tempo. La cosa curiosa è che in certi vicoli ciechi del centro storico, delimitati da alti edifici industriali, si ha l’impressione di trovarsi in certe zone della periferia di New York. Del resto con la grande emigrazione irlandese di fine ottocento, che durante la perigliosa traversata atlantica vide morire di stenti, tifo e altre epidemie migliaia di famiglie spinte dalla fame verso il nuovo continente, non è certo piccolo né indolore il contributo che l’Irlanda ha fornito allo sviluppo della Grande Mela. È logico che un pezzetto della sua anima la si ritrovi qui.
Gli abitanti di Dublino sono simpatici, estroversi e chiacchieroni. Nulla a che vedere con il distaccato à plomb dei londinesi. E che siano pure dotati di una grande fantasia lo dimostra il numero di scrittori, poeti e commediografi celebrati in tutto il mondo che qui hanno visto i natali. Per onorarne la memoria Dublino ha dedicato loro un museo, il Dublin Writers’ Museum, appunto, al n.18 di Parnell Square (www.writersmuseum.com). Attraverso ritratti, libri, lettere e articoli personali vi sono riunite le celebrità letterarie irlandesi degli ultimi tre secoli, da Samuel Beckett (1906-1989) a Jonathan Swift (1667-1745), da George Bernard Shaw (1856-1950) a Oscar Wilde (1854-1900), da James Joyce (1882-1941) a William Butler Yeats (1865-1939) solo per citarne alcuni tra i più famosi.
Sull’indole “sognatrice” irlandese deve avere sicuramente influito l’eco del mare, che qui si respira ovunque, ma anche e soprattutto l’anima celtica, con i suoi miti e le sue leggende, che ogni irlandese si porta dentro e che tanto spesso affiora nella cultura, nell’arte, nella musica. Qui, a differenza della Gran Bretagna, i conquistatori Romani non si sono fermati. “Troppo freddo e troppo umido”, scherzano gli irlandesi, e magari è anche vero, per cui le antiche radici sono rimaste in certa misura incontaminate. Del resto in molti hanno nomi gaelici e il gaelico irlandese resta la lingua nazionale anche se, fatta eccezione per alcune oasi linguistiche distribuite lungo la costa occidentale, la maggior parte dei quasi 5 milioni di abitanti dell’isola parla inglese.
Dublino, che sorge sulla baia alla foce del fiume Liffey, è sede di una importante università, il Trinity College, dove studiarono anche Oliver Goldsmith e Samuel Beckett. Fortemente voluto e fatto edificare da Elisabetta I nel 1592 per dotare anche l’Irlanda di una università nazionale ed evitare così che i figli delle grandi famiglie andassero a studiare nei paesi di religione “papista” come l’Italia, la Francia o la Spagna, con i suoi 20 mila studenti (contro i 500mila abitanti di Dublino), è una vera e propria città nella città. Studenti che arrivano da ogni parte del mondo, compresa l’Italia.
Il Trinity include un vasto e bellissimo campus e la prestigiosa antica biblioteca risalente al 18esimo secolo. La prima impressione, varcando la soglia della gigantesca e spettacolare Long Room, sala lunga, e infatti misura 65 metri ed è zeppa di libri antichi (circa 200 mila) allineati negli scaffali in legno anneriti dal tempo, è quella di essere capitati nell’aula magna della scuola di magia di Harry Potter. Ma prevenendo la domanda la guida avverte subito che la old library non è stata usata come set per la fortunata serie fantasy.
Vivacissimo il centro commerciale di Dublino animato da negozi, caffè, birrerie e da una folla cosmopolita dove non si distinguono gli abitanti dai turisti. Come dicono qui, “you feel the energy”. L’impressione che se ne ha è di un popolo che vuole finalmente riscattarsi: dalla dipendenza inglese, dalla povertà, dall’isolamento. Non è un caso che la moneta corrente sia l’euro anche se la guida è ancora a sinistra. Un altro segnale della voglia di “aprirsi all’Europa” è che tutte le unità di misura vengono indicate sia con il sistema inglese che con quello decimale.
La zona residenziale del centro, con i suoi eleganti palazzi e le coloratissime porte, conserva intatto il suo fascino anche se, come ci dicono, la maggior parte degli appartamenti ora è occupata da studi professionali.
Nonostante l’attenzione posta alla salvaguardia della tradizione Dublino non rinuncia al futuro. Lo si ritrova nelle Docklands, le due zone al di qua e al di là del fiume completamente rifatte in vetro e acciaio dove prima sorgevano i vecchi magazzini mercantili. È un’altra Dublino composta dal Grand Canal Dock sul lato sud del fiume e i North Lotts sul lato nord. Le due zone, che ospitano shopping center, appartamenti, hotels, musei, uffici e vari spazi commerciali, costituiscomo la nuova City e sono collegate da ultramoderni e scenografici nuovi ponti tra i quali il più famoso, il Samuel Beckett Bridge, opera dell’architetto arcistar Santiago Calatrava, è divenuto subito l’icona della città. Inaugurato nel dicembre 2009, nonostante la forma colossale e avveniristica può ruotare di 90 gradi per facilitare la navigazione. Gli fanno da contorno il Sean O’Casey Bridge, completato nel 2005, e i due Scherzer Bridges del 2012. Tutti notevolissimi per design e materiali impiegati. (r.p.)
(Foto Giovanna Dal Magro)
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